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Giulia

Ultimo Aggiornamento: 26/06/2008 10:12
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26/06/2008 10:09

Il mese successivo passò in fretta. Era ancora molto triste per aver perso il nonno. Ma aveva trovato una persona cara: Alberto. Durante quei giorni si era lasciata andare sempre di più a fantasie dal retrogusto adolescenziale e stava cominciando ad osservare fiduciosa la realtà che le si stava costruendo intorno. Persino il suo lavoro sembrava interessante.
Fu durante la fine di una pausa pranzo che la vide. Lei era vestita in modo piuttosto elegante. La signora, seduta poco lontana dal tavolino dov’era Giulia e due delle sue colleghe, la fissava con intensità. Di tanto in tanto sollevava di scatto entrambi gli angoli della bocca per poi lasciarli sprofondare di colpo verso il basso. Ma quella che la colpiva di più era la fissità dello sguardo. Gli occhi erano umidi. Come due biglie immerse nell’acqua. E immobili. Come quelli di un manichino. I capelli di un carota, che non si addicevano al viso un po’ troppo tondo e largo di quella signora, erano molto mossi e pieni di riccioli. La giacca si allargava lasciando intravedere un decolté ampio ma una pelle grassa, rugosa. Tanti piccoli puntini neri saltavano quà e là fin sotto il collo arrossato. La maglietta nera era avvolta in modo imbarazzante intorno a tre risvolti di grasso uno sull'altro sulla pancia. Solo il cappello con la larga visiera bianca riportava un certo tenore a quella figura un po’ troppo distesa sulla sedia. Da sotto il tavolo si intravedevano due consunti stivaloni neri in pelle. Molto sporca era poi la base della scarpa destra. Visibile grazie al fatto che spesso accavallava le gambe più volte a mo di sfida. Quando lo faceva, lentamente poggiava due dita a sostenere il capo. La mano sinistra si chiudeva a pugno e lasciava l’indice sotto lo zigomo sinistro e il pollice quasi sotto il mento. Era il momento in cui fissava di più Giulia che non poteva fare altro che socchiudere la bocca quando incrociava il suo sguardo provocatorio. Quindi abbassava anche lo sguardo e aggrottava la fronte. Rialzava le pupille e incrociava di nuovo quegli occhi grigi. Allora ricominciava a scherzare con le due amiche ma cercava mille scuse per salire al più presto in ufficio. Insistette per pagare lei per tutte. Prese la borsa sulla sedia e fu la prima ad avviarsi verso l’uscita del bar. Ma doveva passare proprio di fronte a quella strana signora.

- Sarà una pazza.

Aveva pensato Giulia. Si fece forza e cercò di ignorarla. Ma proprio quando aprì la porta e stava per uscire la signora le cinse un polso.

- Ma dove vai, dove vai..?

La sua voce sembrava quella di un vecchio grammofono troppo lento per lasciar comprendere il senso dei suoni che produceva.

- Io? Cosa, come?
- Ho detto: dove vai?!!!

Questa volta lo disse quasi urlando, tanto che da dietro il bancone del bar e un signore anziano seduto di fianco si girarono di scatto verso la scena.

- Che è successo Giulia?

Domandarono le colleghe.

Giulia aggrottò le sopracciglia e spinse il labbro inferiore verso l’alto mentre muoveva un pochino a destra e a sinistra il capo.

- La pazza deve parlarti di Alberto.

Esordì la signora.
A quelle parole la bocca di Giulia si rilassò e lasciò intravedere un poco gli incisivi bianchi. Poi si ricontrasse e al gesto della signora che con la mano aperta le indicava la sedia, annuì e si sedette di fianco.

- Andate. Tanto eravamo in anticipo. Vengo dopo.

Una collega gli fece un gesto con la mano destra da sinistra a destra in modo sincopato come a dire tutto a posto? Poi sgranò anche gli occhi per sottolineare la cosa.

- Non ti preoccupare. Ciao.

Le rispose a voce. Le due donne si guardarono e infilarono la porta in fila. Mentre richiudevano la vetrata si giravano di tanto in tanto e cominciarono a scambiarsi parole tra di loro.

- Allora cara la mia Giulia… ti sei divertita in questo mesetto?
- Divertita? Cosa intende dire? Che c’entra Alberto? Lo conosce?
- Se lo conosco? Se IO lo conosco? E’ proprio perché ho avuto la maledetta sfortuna di conoscerlo che oggi mi trovo ad andare in giro ad avvisare le loro amanti.
- Ma lei chi è?
- Eh beh sì… Sono la moglie! La stupida, la scema! Ma stavolta non me ne frega niente dei soldi la deve finire di cornificarmi! Sono stanca!

A quelle parole Giulia ricadde con lo sguardo fisso sui piedi. Quel giorno aveva messo delle scarpe basse e chiare. Erano delle ballerine di colore verde chiaro. Poi raschiò leggermente la punta delle dita delle mani sul jeans a righe bianche e cominciò a sbattere un pochino i piedi. Riguardò verso la donna e deglutì.

- Lei potrebbe essere mia madre.
- Fai pure tua nonna!

Questa volta il sorriso sofferto della donna si allargò in una smorfia che fece contrarre tutti i muscoli di Giulia per un lungo secondo. Ricascò con lo sguardo sui piedi. La donna si riappoggiò sulle due dita della mano. Squadrò meglio il viso di Giulia. Poi le prese con la mano destra il mento tra le dita e le voltò la faccia verso il suo viso.

- Non sei male vista da vicino cara la mia Giulia. Non male… E mi sa che non ci fai. Mannaggia…

Questa volta era la donna che abbassò lo sguardo verso il portatovaglioli sul tavolo. Lasciò il mento e giocherellò un poco con un tovagliolino di carta.
Ci fu un lungo silenzio.

- Alberto ti vuole… anzi, ti ha GIA’ fregato l’eredità.
- Quale eredità?

Rispose Giulia sporgendo le labbra in fuori.
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26/06/2008 10:10

La sera dopo Giulia si era messa un vestito rosso regalategli da Alberto. Sapeva benissimo che i vortici e i risvolti erano le sue passioni. Ecco allora che le aveva trovato un vestitino con una serie di leggeri movimenti che si creavano ad ogni suo passo. Appena lo aveva indossato Giulia cominciò a roteare e a roteare sulle ballerine e sul pavimento di piastrelle bianche. Il suo riflesso creava strani immagini sui due candelabri del salotto di Alberto. I due specchi si contendevano tante Giulia che scomparivano nei numerosi riflessi uno dentro l’altro. Scoppiò a ridere e poi gli diede un bacio caldo come poche volte prima. Alberto chiuse gli occhi e per un attimo sentì il cuore a mille. Poi la strinse forte più che poteva.

- Guarda che non scappo mica!

Sbottò con un sorriso Giulia. Ancora appiccicato al suo corpo ricoperto da un completo gessato grigio, abbassò un attimo gli occhi ma poi lo fissò intensamente. La bocca gli si contorse per un attimo aperta leggermente per poi richiudersi a scatto mentre continuava a guardarlo in quel buio in fondo a quel circolino negli occhi. Lui li socchiuse mantenendo lo sguardo. Poi lasciò la presa. Giulia abbassò di nuovo gli occhi e con una mano aggiustò i vari risvolti.

- E guarda come me lo hai stropicciato…

Disse di nuovo Giulia imbronciando il musetto. Spinse entrambe le labbra verso l’alto, quasi da un lato del naso. Roteò un poco gli occhi e alzò leggermente la parte bassa del vestito. Poi la rimise a posto, girando un poco il tutto verso destra. Alberto si era girato verso la finestra aperta che dava sul piccolo giardino. La Luna stava già infilzata grassa e satolla su qualche parabola del condominio di fronte. Alberto si era fissato stranamente su alcuni vestiti stesi su un balconcino di quelli con un divisorio in vetro smerigliato di colore verdastro. L’aria sapeva di estate. Anche se era ancora lontana. Pareva una di quelle serate in cui pensi che non morirai un giorno.

- Giulia ti devo dire una cosa…

Serrò brutalmente i pugni. Giulia fece un mezzo passo indietro. Rimase su una punta e sgranò un poco gli occhi in direzione della schiena dritta di lui e di quelle braccia tese. Alberto fece un giro sui talloni e si ritrovò di fronte a lei. Non più lontano di due metri da Giulia. Spinse col dito gli occhiali a sistemarseli bene sul naso. Le lenti apparivano un poco appannate. Poi sollevò entrambe le braccia vicino alle lenti. Se le sfilò e prese anche un fazzoletto dal taschino per asciugarle un poco. Mentre guardava in basso.

- Giulia io te lo devo dire. Forse sbaglio ma…

In quel mentre squillò il cellulare. Una musichetta che di Chopin aveva solo lo strazio continuava a coprire le sue parole. Giulia lo fissava. Lui continuava a pulire gli occhiali. Poi se li rinfilò.

- Giulia io… io volevo dirti che… maledetto telefono!

Si avvicinò al mobile su cui era poggiato il cellulare, proprio tra un candelabro e lo specchio.

- Sì..? Chi è..? Pronto chi è? Sì sono Alberto! Ancora tu ma che cosa vuoi? Ho da fare… No, nessuna… lasciami in pace dai… smettila ho detto! Nessuna ti dico! Oh!!!

Chiuse lo sportellino nero di scatto.

- Era ancora Amanda. Mia moglie
- Ancora quella pazza? Ma dove l’hai trovata amore?
- Quello che importa è che ora ci sei tu… non mi importa altro…

Prese per avvicinarsi di nuovo per abbracciarla. Ma il telefono ricominciò a squillare di nuovo.

- Ecco, ecco… ora lo… ecco che lo spengo.

Tenne premuto per un po’ un tastino nero. Si riaggiustò di nuovo gli occhiali premendo un poco sul ponte.

- Non si festeggia?

Esordì Giulia.

- Ma certo! Ti volevo, se vuoi, insomma… volevo andare a un ristorante. Tutto a base di pesce come piace a te…
- Era questo che mi volevi dire?
- Sì… volevo dirti questo.

Il viso di Alberto si fece di colpo serio.
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26/06/2008 10:10

Ritornarono sul tardi. Alla guida della Punto grigia c’era Giulia. Forse Alberto aveva bevuto un po’ troppo. Lo si capiva dal fatto che rideva senza motivo e tirava anche qualche buffetto sulla spalla di Giulia. Entrarono con l’auto nel cortile interno. Giulia dovette aiutarlo un poco ad uscire dalla macchina. Mentre lui si strofinava più volte tra il tettuccio e lo sportello, lei fu costretta a metterselo sottobraccio prima e ad offrirgli una spalla poi, ma non riusciva bene comunque a trasportarlo fino in casa. Due giorni prima era stato un mese dalla morte del nonno. E fu lui in Chiesa a sostenerla. Ora toccava a lei. Fu tentata di chiamare qualcuno. Magari un vicino. Mentre pensava questo e guardava verso i piani alti notò che la Luna si era sollevata e aveva già cominciato il suo giro notturno. Non aveva con sé l’orologio ma era sicura che fosse tardi.

- Mannaggi...a… quanto pesi!!

Sospirò Giulia. Strascicando riuscì a portarselo fino attraverso al giardino e dentro il portoncino. Lo lanciò letteralmente nell’ascensore. Lui sbattè contro lo specchio e si riprese un poco.
- Scusami Giulia, scusami…
- See, see dai cerca di mantenerti in piedi.

Lei fece un movimento secco per pigiare il numero 1. La porta sbatté contro un piede di Alberto.
- Tiralo in dentro per favore…

Lui eseguì.

- Non pensare male di me non so perché mi sono ubria…

E non terminò la parola.

- Non preoccuparti. Sono abituata sai, col nonno, dovevo girarlo più volte nel letto e…

La porta si aprì. Riuscì a girare la chiave e a trascinarlo dentro. Lui sembrava ancora ballare più che camminare. Arrivarono nella stanza da letto che l’uscio era ancora spalancato.

- Ѐ stata una serata bellissima… bellissima Giulia…

Alberto cascò di botto sul letto ancora vestito. Lei vi si sedette accanto. Osservò la forma del suo viso con sopra un’onda bianca causata da un riflesso lunare. Non poté fare a meno di contrarre il viso, le labbra in un moto di pianto che morì però sul nascere. Poi gli accarezzò il viso.
Allungò la mano destra fin sotto la camicia rosa. Il nodo della cravatta era già allentato. Infilò le unghie un poco lungo il suo petto non molto villoso… un graffio lo fece muovere leggermente sul lato. Ma rimbalzò un poco sul fianco e riprese a dormire profondamente. L’indice e il pollice afferrarono qualcosa. Qualcosa di metallico. Era la catenina d’oro. Giulia, curiosa, gliela sfilò a poco a poco. Alla fine la piccola chiave con un cuore alla base uscì fuori. Non riusciva a staccargliela.
Giulia cambiò espressione. Contrasse la fronte e il contorno degli occhi mentre le labbra si sporsero in fuori come a voler dare un bacio all’aria. Poi appoggiò una mano alla base del collo di Alberto e con l’altra tirò un colpo secco che spezzò la catena rimasta nel suo pugno.

- Ahi! Ti amo Giuly… ecco che te l’ho detto…

Giulia sgranò gli occhi. Poi inchinò un poco la testa su un lato per avvicinare un orecchio:

- Come hai detto Alberto? Come hai detto? Mi senti?
- Vuoi ballare di nuovo, sai ballare così bene…

Bofonchiò qualcosa e si girò dall’altra parte. Ora Giulia rimase in silenzio per qualche minuto. La chiave tra le due mani in grembo ed il viso rilassato con lo sguardo che dava qualche metro più in là, su una macchia del legno nodoso del pavimento col parquet.
Si alzò lentamente e senza far rumore lasciando in quella stanza i sospiri dell’amante. Si avvicinò al citofono e lo sollevò:

- Ci sei.

Disse senza tradire alcun tono.

- Sì. Apri, forza..!

Cliccò il pulsante lungo e nero. Solo uno scatto. Si sentirono dei passi nel cortile piastrellato e poi aprirsi il cancelletto che dava sul giardino. Giulia andò alla finestra del bagno che dava sul giardinetto. La aprì. Diede uno sguardo alla porta del bagno. Allungò l’orecchio per un attimo per constatare che Alberto stesse ancora dormendo. Poi gonfiò per un attimo le gote come a sbuffare qualcosa. Invece si affacciò, spiò nelle finestre di fronte: nessuno. Guardò in basso. Riguardò un attimo indietro, di nuovo, per sicurezza. Poi riguardò in basso verso il giardino. Sporse bene la mano sinistra e fece penzolare la chiave con la catenina. Prese la mira e la lasciò cadere tra le mani aperte a coppa di Amanda.
Richiuse in fretta e silenziosamente la finestra. Si chiuse il viso tra le due mani che scivolarono, dopo un attimo, verso la bocca a scoprire gli occhi arrossati. Una piccola lacrima seguì le falangi. Estrasse una piccola scatola porta pillole con una specie di cammeo in cima. La aprì. La osservò per bene. Contemplò quello che restava di una polverina bianca. Probabilmente un sonnifero. Scosse la testa un poco come a dire no. Forse un poco pentita per averla sparsa nel bicchiere di Alberto solo un’ora prima. Posò sul davanzale della finestra la scatoletta. Nella penombra lunare si fermò qualche secondo davanti lo specchio.

- Ma tu chi sei?

Chiese a quella figura riflessa senza tradire emozioni.
Poi si voltò di scatto e si preparò ad andarsene. Aveva ancora in una tasca le chiavi della Punto. Nel salone l’aspettava una valigia marrone pronta e nascosta sotto un mobile.
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26/06/2008 10:10

Passarono parecchie ore prima che Giulia accendesse il nuovo cellulare con il nuovo numero. Avevano organizzato tutto lei e Amanda. O forse solo Amanda e Giulia aveva seguito. Si sarebbero viste alle 7 in punto in un piccolo centro fuori città. Avevano acquistato due nuove schede, una ciascuna con tanto di cellulare, mentre il suo vecchio cellulare era rimasto spento in borsa. E pensare che era da cinque anni che non ne comprava uno nuovo. Era in giro con la Punto grigia di Alberto che sicuramente sarebbe rimasto addormentato fino al mattino e oltre. Mentre Amanda, invece, avrebbe dovuto prendere tutto quello che c’era in quella cassetta di sicurezza nella casa coniugale che si poteva aprire soltanto con l’inserimento di quella piccola chiave oltre che con la successiva digitazione del codice di sicurezza.
Giulia ci aveva pensato tutta la notte. Pochi numeri. Pochi giri su due manopole. Un piccolo click di una piccola e stupida chiave. Chiave che Alberto teneva sempre al collo. Chiave a forma di cuore, sul suo cuore. Il cuore di colui che le aveva detto di amarla. Forse…
Una chiave che avrebbe cambiato la loro vita. Le avrebbe detto Amanda. Una chiave che avrebbe fatto giustizia. Amanda si sarebbe ripresa, almeno a livello economico, i capitali bancari conservati e spesso usati per mantenere amanti. Giulia la sua eredità. Non aveva mai immaginato che il nonno le avesse lasciato tutti quei soldi. Ma Amanda l’aveva convinta con le foto e le copie dei documenti che erano in mano ad Alberto.
Si era fermata prima in autostrada Giulia. Si era fatta fare il pieno. Il serbatoio era quasi vuoto. Poi entrò nell’autogrill. Il suo viso mentre prendeva un caffè al banco e un’acqua tonica era senza rughe. Era pallida ma ogni movimento era tranquillo e fluido. Persino il ragazzo al banco non aveva potuto fare a meno di notare quel vestito rosso. Mentre si sentiva osservata Giulia aveva spostato con un guizzo da un lato all’altro degli occhi lo sguardo fissandosi su alcuni peluche esposti nel reparto vendite poco più in là. Solo un signore calvo era dritto in piedi davanti ad una fila di salvadanai con la scritta Ricordo d’Italia. Uno in particolare aveva una forma così bislacca che Giulia si chiese se fosse un maialino oppure una botte con due ganci laterali. Poi era ritornata, lasciando un poco morbide le labbra, verso il ragazzo con la camicia a righe dietro il bancone. Ora era di spalle ed era intento a servire un signore grasso e scuro in viso. Ma non per la carnagione. Sembrava sporco di fuliggine o di grasso di auto. Un autista di camion sicuramente che chiese un caffè allungato cognac. Un attimo dopo tanti pensieri gli si affollarono in testa e Giulia buttò un secondo verso il basso il viso e chiuse gli occhi. Un colpo di sonno. Decise di prendere qualcos’altro. Un latte con un filo di caffè. Lo bevve caldo e tutto d’un fiato. Sentì la lingua soffrire sotto quell’onda bollente che le scendeva in gola. Ma tutto quello che vedeva intorno, anche se sotto quei strani neon che rendevano il mondo circostante un po’ ovattato, sembrò di colpo più nitido. Solo quel ronzio sul fondo proveniente da alcuni frigoriferi sul fondo del locale, dove c’era meno luce, sembravano conciliare un poco il suo desiderio di dormire e le giravano in testa favorendogli numerosi rimorsi.
Per qualche secondo vide il corpo di Amanda rompere quella piccola cassetta di sicurezza a morsi e poi scappare via senza presentarsi all’appuntamento stabilito. Poi un sussulto ad ogni suo passo. Rialzò, Giulia, di colpo la testa. Era un altro colpo di sonno. Il signore unto e con la maglietta troppo stretta rispetto alla mole, la stava guardando. Quando si incrociarono un attimo lo sguardo egli annuì come a dire avrei fatto lo stesso anch’io. Per un attimo si volse di nuovo verso i souvenir in vendita nel locale e si rese conto che quel tizio calvo non c’era più. Poi anche il barista pareva osservarla e lei chinò un poco la testa verso il basso a guardare i poggiapiedi a sbarra dorata che stonavano col bancone rosso in plastica. Diede un piccolo colpo con la punta delle ballerine sulla base del bancone. Il suono sembrava quello di una scatola che non conteneva nulla al suo interno.
Un gran baccano di colpo entrò dalla porta automatica dell’entrata. Tanta gente con a capo Amanda brandiva la testa di Alberto. In fondo, sul piazzale, non lontano dalle pompe, c’era una figura scura e col capo verso il basso.
- Nonno… sei tu?
- Signorina ma…
Era invece il barista che la invitava a stendersi, se avesse gradito, su una delle poltroncine sul fondo. Si era addormentata di nuovo. Le consigliò, allora, un piccolo motel dopo la prima uscita dall’autostrada. Giulia prese la borsa, pagò tutto in moneta e si apprestò a raggiungere l’auto.
Quando giunse al motel era già molto tardi. Il gestore era piuttosto basso e aveva una barba di un giorno bianca e sporca. Indossava una giacca scura che sormontava una canottiera bianca e a righe. In testa un piccolo berretto di colore verde scuro. La parte inferiore completamente occultata dal retro del bancone in ciliegio massiccio. Solo una piccola lampada da studio, con un braccio movibile in acciaio e il corpo metallico di colore verde, illuminava la stanzetta. Il vecchio aveva tardato a rispondere.

- Signora sono le 3! Io stavo già dormendo!
- Per favore non mi dica che non c’è un posto ora…
- Sì c’è ma me lo paga come una notte intera!

Le aveva rimediato una stanza molto piccola. Tutto il motel era in stile nostalgico anni trenta. Suppellettili accozzate senza nessuna logica spuntavano in malo modo su una mensola su un angolo all’entrata. Il letto occupava quasi tutto il locale e c’era solo una piccola sedia in similar-pelle su un angolo con i piedi in legno chiaro. Giulia ci lanciò sopra la giacca e la borsa. Si sfilò il vestito incrociando le braccia verso l’alto. Poi rimase solo in reggiseno chiaro e tanga nero. Aveva tirato via velocemente le calze nere autoreggenti e le aveva poi lanciate sull’altro lato del letto. Avrebbe voluto rinfrescarsi un poco prima di lasciarsi andare sul letto. Invece non spense neanche la luce e chiuse gli occhi mentre si poggiava tutta sul fianco destro su quel lettone a due ante con un copriletto a righe grigie su campo rosso. Aveva subito notato i cuscini grandi e accoglienti. Ne prese uno e lo abbracciò forte mentre pensava al papà e al nonno. Strinse anche le gambe al petto. Tra le ultime cose che la accompagnarono nel sonno ci fu la paura. Quella che Amanda non le avrebbe dato la parte dell’eredità rubata da Alberto.
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26/06/2008 10:10

Erano già 45 minuti che aspettava di fronte la chiesetta. Erano arrivate anche alcune signore un po’ avanti con gli anni ad aspettare il prete per la messa mattutina. Di quelle che in certi posti fanno ogni giorno. Anche quelli feriali.
- Guardi che il prete non arriva prima delle otto e mezza signorina…
- Sì lo so, lo so…
Mentì Giulia. Alle 8 parecchie signore del paese entrarono e presto si potevano sentire dalla scalinata esterna le prime nenie del rosario. Amanda non arrivava. Giulia aveva dimenticato anche i suoi occhiali scuri. Aveva il viso impiastricciato e si sentiva mancare la forza nella gambe. Più volte avrebbe voluto sedersi su un gradino della chiesa ma poi non le era sembrato il caso. Si sentiva fischiare le orecchie e gli occhi le pesavano. Si sentiva un nodo allo stomaco e le braccia le dolevano. Tutta la notte era stata visitata da incubi di ogni genere. Il nonno in sonno le aveva detto:
- Dov’eri?
E aveva visto il suo letto d’ospedale allontanarsi sempre di più come in una discesa dove lei non poteva accedere. Altre volte vide nel letto accanto a sé Alberto che si era addormentato su un fianco ma quando lei lo rigirava per guardarlo in viso scopriva essere suo padre che piangeva.
- Non piangere, papà non piangere, dai…
Gli aveva sussurrato. Ma mentre le aveva poggiato una mano su una guancia il viso si era fatto scuro fino a non riconoscerlo più. Giulia si era svegliata e saltato sul letto con il batticuore proprio come quella mattina che era morto il nonno in ospedale. Per qualche lungo secondo si era chiesta dove fosse. Poi cercò il bagno per rinfrescarsi un poco. Ma dal rubinetto di quel motel non scendeva neanche una goccia d’acqua.
Ormai le donne all’interno della chiesa avevano finito anche il rosario ed erano passate a cantare un inno alla Madonna. Un signore vestito scuro le si avvicinò.
- Signorina aspettava qualcuno?
- No… Sì, dipende… lei?
- No, mi chiedevo se volesse confessarsi?
Nel dire questo si aggiustò la giacca scura e Giulia intravide un colletto rigido di colore bianco.
- No, no, la ringrazio.
Aveva preso a giocare col cellulare nuovo e aveva provato a chiamare Amanda. Uno, due, tre volte. Il telefono risultava spento. Mentre il prete entrava all’interno e la campana suonava la mezz’ora, Giulia sentì, durante il suo andirivieni su quei larghi gradini, una forte fitta a un calcagno e poi ad entrambe le caviglie. Sbuffò con forza e rumorosamente. Si poggiò prima con l’avambraccio su un corrimano pietroso. Poi si decise a sedersi su un gradino chiudendo strette le ginocchia e unendo le caviglie. Prese a sbattere più volte e velocemente le cosce con movimenti brevi. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e mise le mani a coppa per sostenere il capo. La luce le faceva strizzare più volte gli occhi. Guardò per un attimo di fronte e vide un’anta di una finestra in legno sbattere. Una signora con un vestito scuro con pois chiari si era affacciata. La guardò dritta in faccia e fece una smorfia aggrottando il muso all’insù. Giulia chiuse un attimo gli occhi. Le tempie le sbattevano da morire.
- Basta!
Urlò con forza abbastanza da essere udita da qualche eventuale passante.
- Non me frega più di niente e di nessuno. Voglio un letto.
Aveva pensato quasi scandendo le parole. Si alzò di scatto e sembrava mantenuta con un filo che le usciva dalla sommità del capo mentre, a gambe unite e braccia lungo il corpo, cercò di tenere, ferma, l’equilibrio. Si apprestò a raggiungere la Punto. Estrasse le chiavi che le caddero. Riprese a sbloccare le portiere e risalì di fretta.
- E parti..!
Aveva girato con forza la chiave e il piede gli era pesato non poco sulla frizione. Partì facendo fischiare un poco le gomme anteriori. In pochi minuti era di ritorno sull’autostrada. Un’auto le si accostò a velocità. Cominciò a suonare. Sulle prime non l’aveva riconosciuta. Era Amanda. Prese il cellulare e le fece segno, attraverso i finestrini, di fare altrettanto. Per fortuna la strada era sgombra in quel tratto di autostrada.
- Fra 500 metri mentre c’è un’area d’emergenza. Fermati là.
Si fermarono goffamente in quel punto. La punto grigia un poco storta e l’Audi bianca perfettamente in linea.
- Ma dove stavi andando?
- Pensavo che non venivi più, poi mi sento così stanca…
- Ma come… ma come fai a pensarlo? Mi dovevi aspettare. Ci ho solo messo un poco più del solito. Tutto quì.
- Potevi chiamare, comunque… Va bene, ma ora cosa si fa? Hai preso i soldi dell’eredità?
- E anche la mia parte. Gliel’abbiamo fatta pagare a quello. E poi ho cambiato idea. Sei troppo nervosa per ritirare soldi in banca… ci ho pensato io… solo un idiota come Alberto poteva tenere tutto su un conto di una banca in un paesino!
Amanda teneva un sorriso ampio che le arrossava le gote. La pelle era turgida e chiara sotto i riflessi del Sole del mattino. Le fece segno di seguirla. Aprì l’ampio baule dell’Audi e le mostrò due valigie. Aveva ritirato tutti i conti e gli investimenti. Si trattava di qualche centinaio di migliaia di euro. Giulia non tradiva alcuna espressione. Solo i pugni che stringevano il pollice all’interno delle altre dita.
- Ecco, in quella valigia c’è l’eredità di tuo nonno.
- Così tanto?
- Con qualche interesse… e tutto in tagli da 500 purtroppo… Comunque sei stata brava, dopo tutto.
Amanda gettò in terra la valigia, richiuse il cofano e risalì in auto. Prese per partire ma poi frenò abbassando il finestrino.
- Non tornerai mica alla vecchia casa o peggio da lui ora? Buona vita! Anzi: buona NUOVA vita!
Gettò un misto tra un urlo ed una risata che fece sussultare tutto il corpo di Giulia per due o tre secondi.
E riprese per l’autostrada.
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