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Un vecchio amore

Ultimo Aggiornamento: 09/04/2009 20:14
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I'm the man
Utente Gold
09/04/2009 20:09

Sarà stato tra il 2003 e il 2004. All’epoca avevo dei turni col lavoro molto più regolari di quelli attuali. Lavoravo ogni mattina dal lunedì al sabato. Domenica libera. Il pomeriggio lo impiegavo nelle cose più disparate. In quel periodo mi iscrissi ad un corso di computer risultando, fin dal primo giorno, il migliore del corso.

- Nodi è un termine tecnico che usa un esperto di reti, non un principiante.

La frase del tecnico che ci seguiva mi condannò fin dal primo momento ad essere il punto di riferimento per tutti in quell’aula.
E poi… e poi c’era lei. Quella sera era un poco trasandata. Non so cosa fu. E’ la mente. Memore di vecchie gioie e sofferenze. Stupida ed idiota, cocciuta non impara mai a contenersi.
E poi c’era lei. Seduta poco più in là. Un sorriso. Poi due, poi tre… ricordo che portava gli occhiali, i capelli erano mossi e lunghi. Vestiti scuri. Mani nascoste dal mondo. Sembrava essersi vestita in fretta per arrivare a lezione.
La volta successiva era un’altra. Capelli lisci, gonna fin sotto le ginocchia, calze nere, scarpe scure con tacco quadrato. Camicetta bianca che lasciava intravedere un piccolo gioiello spaurito tra i suoi seni. Salendo con lo sguardo incrociai di nuovo il suo sorriso. Timido questa volta e meno spensierato. Un timore, un abbaglio. Ora le sue mani provavano a muoversi sulla tastiera. Io ero già lì ad aiutarla ad incitarla a stare tranquilla perché ‘sono cose facili’.

- Hai mai provato a mettere su una lavatrice? Bè, il computer è una lavatrice un po’ più intelligente!

E lei:

- ma poi almeno esce bianca e morbida così come la camicia?

I mie occhi fermi sulle sue dita lunghe e vicino alla morbida pelle del decolletè. Ora sono serio mentre il cuore mi bussa in gola. La fisso negli occhi. Forse le faccio un po’ paura.

- Bianca e morbida come la tua pelle.

Mentre le sfioro la mano vicino al mouse lei abbassa gli occhi. Deglutisce. Poi mi spia da sotto le sopracciglia sorridendomi ed espirando veloce.
Ci sono momenti nella vita in cui siamo predisposti ad innamorarci. Come durante certi periodi dell’anno non aspettiamo altro che spiova, io ero in quel momento in cui avrei voluto che quella pioggia fuori dalla finestra lavasse via il desiderio di baciare quelle labbra, il desiderio di amarla e di averla solo per me.
All’inizio c’erano solo chiaccherate. Prima e dopo le lezioni. Un caffè alla macchinetta. Poi scambi di mail, SMS, telefonate interminabili…

- Nessuno mai mi ha detto le parole che mi hai detto tu.

Questo mi diceva. Questo mi scriveva. Questo mi sussurrava. Mentre ci baciavamo dentro l’archivio. Mentre ci nascondevamo da qualche parte, dopo essere usciti dall'aula in momenti diversi con le banali scuse del bagno o del telefonino che squillava. Ogni volta che l’abbracciavo non potevo far altro che sciogliere tutti i miei pensieri contro il suo seno, grande, bello e caldo come nessuna prima. Sentivo le sua membra tremare mentre la spingevo contro il muro, mentre la coccolavo con la voce, con le mani e con gli occhi. Mi lasciavo morire di pietà nei suoi occhi neri, amando ogni centimetro della sua pelle profumata di latte. Le sue mani, nervose, che mi cercavano al buio. Io che giocavo con la sua lingua spostandomi e negandogli la mia per poi ridere della sua fretta e delle sue paure.
Non era un gioco. Lo sapevamo dal primo momento che ci eravamo incontrati.
Quella sera la giornata era più serena. Ma lei era triste. Maledettamente triste. Tutto era vissuto in fretta. Era come saltare su una giostra quando si stava con lei. Sospettavo, forse capivo. Ma non volevo accettare quello che mi disse.

- Io ho un altro.

No, non mi aveva già tradito. Aveva tradito lui. Il suo compagno di quasi 9 anni. Quello che doveva sposare. Questo mi disse.
Poi entrò in casa. Nessun altro rumore. L’aria si stava facendo più calda e morbida, pastosa e arancione proprio come certi dolci che non si trovano più nelle case. Anche il profumo di lei non lo ricordavo in quel momento. Non so perché ma volevo solo ricordare il suo profumo. Sapevo che voleva me. Altro non m’importava. Sapevo che sarei stato io il suo uomo. Non quello sconosciuto che ogni sera l’andava ad abbracciare.
No, non mi preoccupava nulla. Tranne il fatto che non ricordavo il suo profumo in quel momento.
Quando arrivò la primavera, lei aveva già imparato a fare i primi archivi informativi, sicuramente grazie anche a me. Una mattina che stavo male le scrissi una mail dove le dicevo quanto mi mancasse. Quanto male mi faceva quel gioco crudele che si era instaurato tra me, lei e l’altro. Lei continuava a tenermi buono.
Abitavamo anche vicini. Chissà quante altre volte ci eravamo incrociati senza vederci. Magari avevo visto anche lui. E’ strano come due gocce di pioggia possano incontrarsi e diventare una dopo un salto spaventoso. E noi ci eravamo buttati in qualcosa di più grande di noi. Una nube sempre più minacciosa.
Io non lo sapevo.
Quella mattina venne da me di sorpresa. Non parlammo. Non ascoltai le sue paure. Il fatto che fosse confusa. Che non poteva rovinare tutto. Che lui era troppo geloso.
Chiusi gli occhi e lasciai che lei mi togliesse tutto quello che avevo addosso. Ero diventato il suo pupazzo stanco e col cuore strappato a furia di essere gettato in una stanza tra gli altri giochi da una bambina viziata ed indecisa.
Ma io l’amavo. Oh sì che l’amavo. E’ quella cosa che sai quando la vivi. Non altrimenti. Ho avuto altre storie. Ho avuto altri amori. Però io amavo solo lei.
Stavo fermo lì. Fissavo un punto nel vuoto mentre lei mi mordeva, mentre lei mi baciava quel corpo che non mi apparteneva più.
Fu un attimo.
La presi con forza, alzandola sui fianchi. Lei gettò un urlo. La poggiai sul tavolo della cucina. Si aspettava uno schiaffo mentre le presi il volto tra i palmi delle mie mani. Tremava. La fissai negli occhi. Avrei voluto che la mia anima si staccasse dal corpo ed entrasse dentro quegli occhi per diventare parte di lei.

- IO TI AMOOO! Lo vuoi capire brutta stronza che TI AMO?!?

Rimanemmo così per qualche minuto. Fissandoci negli occhi. Poi scoppiò a piangere.

- Allora dimmi quello che mi hai detto ieri al telefono. Dimmi che non mi ami. E spiegami che cosa sei venuta a fare stamattina.

Volevo me lo dicesse guardandomi negli occhi.
Come la prima volta che ci eravamo baciati. Lo ricordo come fosse ieri.

Erano tutti rientrati in aula. Anche lì fu una questione di attimi. La presi e la baciai. Subito l’abbracciai. Il modo in cui ci abbracciammo sembrava persino più intenso del bacio. Eravamo due amici antichi, due amanti, un fratello e una sorella, conosciuti chissà quando in quale tempo e luogo e ora stretti fino a mancare l’aria. Sarei voluto entrare in lei attraverso ogni poro, fondere il mio cuore con il suo che sentivo sbattermi contro il mio petto.

Non mi rispose. Cominciò a baciarmi le mani e poi scese subito giù dal tavolo, in ginocchio di fronte a me. Io, schiavo nudo. Lei regina con la camicetta e la minigonna che mi piacevano tanto.
Insieme. Quella volta venimmo insieme. Volevo farle sentire tutto il mio odio e il mio amore per lei. Non mi fermai neanche per un secondo, anche nel culmine del piacere. Momento in cui lei urlò il mio nome.
Un altro giorno mi voleva parlare. Era inquieta. Pensavo che glielo avesse detto. Che avesse rotto. Invece si trattava del fatto che aveva dimenticato, prima di fare l’amore con lui, di prendere la pillola.
Le stetti vicino. Due settimane dopo le tornarono le sue cose e tutto tornò come prima. Almeno per lei.
Un continuo non vediamoci più intervallato da sesso sul pavimento, in auto, sulla scrivania dello studio. Di lei mi rimanevano solo i graffi sulla schiena e sul cuore. Poi tornava sempre da lui.
Con la fine del corso la storia si trascinò ancora per qualche mese.
Ero appena rientrato dal lavoro quando, correndo, riuscì a prendere una chiamata al telefono. Era la mamma di lei. Diceva che dovevo smetterla di frequentare la figlia. Che dovevo smettere di romperle le scatole. Io le risposi che a me non risultava che io rompessi le scatole a qualcuno, che avrebbe dovuto dirmelo la figlia. La madre rispose che la figlia era solo un po’ confusa ma che un giorno si sarebbe sposata col suo fidanzato. Di non mettermi strane idee in testa. Che leggeva le mail della figlia.
Dopo qualche giorno lei mi richiamò. Voleva vedermi. Per fare l’amore.

- Io non SCOPO più con te!

E giù la cornetta su quel telefono di merda come volessi spezzare il mondo in due.
La vidi per caso ad un supermercato. Io ero con un’altra. Erano passati due anni. Eppure in quel momento sentivo ancora l’eco del tonfo della cornetta. Ci fissammo per tre lunghi secondi. Sembrava una cerbiatta spaurita. Triste e sola. Nonostante lui. Quello che non la coccolava. Quello che non l’ascoltava. Quello che la picchiava. Quello che le veniva dentro senza preoccuparsi delle conseguenze. Tanto erano fatti di lei, poi…
Tre secondi. Poi, lui, distratto, con forza, come quando si rimette a posto un vecchio cencio, le strattonò un braccio urlandole qualcosa.
Abbassò gli occhi.
Non la vidi più.
Sono passati anni ormai. Anni in cui l’ho cercata in altri occhi. Anni in cui ho assaggiato ombre delle sue labbra su visi che le somigliavano. Anni in cui ho sognato e risognato quella volta sotto il suo portone che mi diceva che amava solo me.
Ma non l’ho più trovata in nessun'altra.
Poi una mail con un link.
L’altro giorno.

- Hai visto che alla fine mi sono sposata? Fottiti.

Clicco sul link.
Lei in abito da sposa.




[Modificato da misterx78 09/04/2009 20:14]
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