00 23/04/2009 17:30
Caccia allo sbirro!


La notizia ha assunto pubblica notorietà: un blog, un movente politico, uno scontro che diviene immediatamente caso nazionale. Tutto nasce da un sito web che chiede agli utenti di identificare agenti delle forze dell'ordine, così che la loro identità possa essere rivelata mettendo a repentaglio le operazioni che richiedono forze in borghese ed interventi di persone in anonimato. Il sito usa frasi intimidatorie, dando all'iniziativa un significato preciso nell'ottica di una lotta diretta alle forze armate. In breve il tutto diventa un caso che richiama l'intervento del Parlamento e della DIGOS: il sito diviene irraggiungibile e la notizia passa su tutti i principali tg nazionali:

Le frasi che trapelano dai primi report rendono evidente la portata del caso. Il sito, infatti, avrebbe l'obiettivo specifico di «intimidire il repressore, per farli conoscere alle masse popolari»: ogni poliziotto viene identificato grazie al sito e la sua identità (nonché zona operativa) viene resa pubblica così che in caso di manifestazioni o scontri possa essere eventualmente identificato un operatore delle forze dell'ordine nella massa dei partecipanti. «Farli conoscere è un modo pratico per rendere il loro sporco lavoro se non impossibile, almeno difficile». Sebbene i riscontri reali dell'iniziativa possano essere dubbi, le motivazioni di fondo sono innegabilmente pericolose.


La "caccia allo sbirro" viene messa all'indice dai sindacati della Polizia ed il giudizio sull'iniziativa appare unanime: un qualcosa di pericoloso in grado di minare i principi stessi su cui si basa l'ordinamento nazionale. Le forze dell'ordine diventano un «obiettivo»: «Li hanno seguiti, ripresi con le videocamere, fotografati mentre fanno la guardia ai cortei o tengono d'occhio sit in di protesta davanti alle Procure durante i processi contro la sinistra radicale. E quelle foto, i ritratti di poliziotti in divisa e di funzionari in borghese col distintivo sulla giacca, le hanno riversate sul web».

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